Archivio per Egitto

Islam: L’università di al-Azhar sbatte la porta in faccia agli islamisiti e si schiera con laici, liberali e copti.

Posted in Politica, Società with tags , , , , on aprile 1, 2012 by Maria Rubini

Dopo aver varato “il documento della speranza”, un testo che rimette in linea l’Islam con il pensiero moderno e le libertà fondamentali dell’uomo, a partire da quella religiosa, lo sceicco dell’Università Islamica di al-Azhar, al-Tayyeb, ha sbattuto fragorosamente la porta in faccia ai Fratelli Musulmani egiziani, che guidano e secondo molti egemonizzano i lavori della commisione incaricata di redigere la nuova costituzione. “Al-azhar si ritira dalla commissione perchè non si ritiene adeguatamente rappresentata”, ha detto chiaro tondo al-Tayyeb, unendosi così all’analoga protesta della minoranza laico-liberale, che potrebbe allargarsi, secono i più, ai rappresentanti copti. La mossa di al-Azhar è una chiara scelta di campo contro visioni della Cosstituzione che non siano rispettose dei diritti delle minoranze, che non scelgano la costruzione di uno Stato laico, o “stato civile”, come si dice correntemente nel dibattito arabo attuale.
Poche ore prima a Istanbul il portavoce dei Fratelli Musulmani siriani, Ali Sadreddine Bayanouni, aveva dato formale lettura del nuovo manifesto della sua organizzazione, nel quale si parla espressamente di costruzione di uno “stato civile”, basato sul rispetto dei diritt fondamentali dell’uomo, di qualunque fede o gruppo etnico. Tanto che nel documento viene espressamente detto che qualunque cittadino, di ogni credo, maschio o femmina, deve poter concorrere a qualsiasi incarico, chiaro riferimento alla Presidenza della Repubblica, che una legge voluta da Hafez el-Assad 40 anni fa riserva in Siria ai soli musulmani. Non è certo irrivelante o casuale che il documento sia stato presentato a Istanbul.Un brutto colpo per i cantori della lacitià degli Assad, visto che i Fratelli Musulmani sono il cuore dell’opposizione al regime.
Qualcuno potrà eccepire che si tratta di parole, ma le parole nel mondo delle religioni pesano. Pesano tanto. Giorni fa un parlamentare egiziano è intervenuto durante i lavori parlamentari dicendo: “voglio poter pregare adesso.” Il presidente gli ha risposto: “no, non può”. Giorni dopo è tornato in aula e si è scusato: perchè aveva ricevuto un milione di mmessaggi di protesta sulla sui social network.

Nessun può dire che il bicchiere della rivoluzione araba sia tutto pieno, ma volersi ostinare a vedere solo la metà mezza vuota non sembra la scelta più intelligente. Non si tratta di tifare, ma di capire che riconoscere e aiutare la rivoluzione araba significa anche capire quanto la rivoluzione araba può aiutare noi stessi.

di Riccardo Cristiano

2012: sciiti e sunniti si combattono per la supremazia nella regione

Posted in Palestina, Politica, Società with tags , , , , , , , , , , , , , on gennaio 3, 2012 by Maria Rubini

Di Barry Rubin

Naturalmente non vi è nulla di nuovo nel conflitto fra musulmani sunniti e musulmani sciiti, ma è una novità che tale conflitto sia diventata una delle caratteristiche a livello regionale in tempi moderni. In fondo, finché imperavano regimi di stile laico che predicavano identità arabe nazionaliste onnicomprensive, le differenze fra comunità religiose restavano in secondo piano. Ma una volta che si sono affermati regimi islamisti, la teologia è tornata centrale, come secoli fa. Ma non si fraintenda la situazione: quella in atto è fondamentalmente una lotta per il potere politico e per le ricchezze. Quando stati o movimenti sunniti e sciiti si combattono, si comportano come soggetti politici dotati di obiettivi, tattiche e strategie.
La forza e l’influenza crescenti del regime islamista iraniano hanno posto gli islamisti arabi sunniti di fronte a un grosso problema. In linea generale non amavano l’Iran perché era persiano e sciita, però rappresentava l’unico regime islamista sulla scena. È così che la palestinese Hamas, organizzazione araba islamista sunnita, è diventata un cliente sottomesso all’Iran. La guerra Iran-Iraq (degli anni ’80) rifletteva questi antagonismi, in modo particolarmente evidente nella propaganda irachena. Peraltro il regime iracheno era comunque in grado di tenere sotto controllo la sua maggioranza sciita.
Successivamente la rimozione di Saddam Hussein ad opera di una forza internazionale guidata dagli Stati Uniti ha scoperchiato la questione dei rapporti fra comunità all’interno dell’Iraq. Gli sciiti iracheni sopravanzano i loro vicini sunniti con un rapporto di tre a uno, per cui sono destinati a vincere automaticamente qualunque elezione, specie se i curdi iracheni si chiamano fuori, preferendo quello che è, di fatto se non di diritto, il loro stato nel nord dell’Iraq. Nonostante la presenza di elementi anti-americani e di al-Qaeda, l’insurrezione sunnita in Iraq è stata essenzialmente un estremo tentativo da parte dei sunniti di recuperare il potere. Il tentativo è fallito e adesso, pur continuando le violenze, i sunniti porranno l’enfasi principale sul negoziare la divisione del potere meno peggio possibile. Anche in Libano gli sciiti hanno trionfato, guidati da Hezbollah e aiutati da Siria e Iran.
Ma tutto questo avveniva prima dell’anno 2011. La “primavera araba” è stata invece una faccenda quasi interamente sunnita: per alcuni versi l’equivalente sunnita della rivoluzione iraniana del 1979. Solo nel Bahrain, dove erano oppressi, gli sciiti sono passati all’offensiva. Quelle in Egitto, Tunisia e Libia sono state tutte insurrezioni sunnite contro governi arabi sunniti.
La situazione in Siria è assai più complicata, con un regime arabo alawita non-musulmano che si atteggia a musulmano sciita e che è alleato con l’Iran (non arabo, ma sciita), e che all’interno è osteggiato da tutta una varietà di gruppi. Nondimeno, in questo quadro quella in atto in Siria è sostanzialmente una sollevazione guidata dai sunniti (anche se lungi dall’essere esclusivamente islamisti) contro un regime “sciita”.
Qui sta il punto. Gli arabi islamisti sunniti non hanno più bisogno dell’Iran, e nemmeno della Turchia (sunnita e a governo tendenzialmente islamista, ma non araba) perché ora hanno un proprio potere. Ciò che è probabilmente destinato ad emergere è perlomeno un variegato blocco arabo sunnita con forti connotazioni islamiste, composto da Egitto, striscia di Gaza, Libia e Tunisia, insieme ad elementi della Fratellanza Musulmana di Giordania e Siria. L’elemento chiave, qui, è la Fratellanza Musulmana: un’organizzazione che in generale non ama i musulmani sciiti, e in particolare l’Iran. Eventi minori, come l’appoggio da parte del guru della Fratellanza, Yusuf al-Qaradawi, al regime sunnita del Bahrain contro l’opposizione sciita, rivelano la direttrice del loro pensiero. Gli ancor più estremisti salatiti – un termine oggi usato per indicare piccoli gruppi rivoluzionari islamisti – sono ancora più anti-sciiti.
In questo quadro, uno dei fattori in gioco è la persistente indisponibilità della maggioranza degli stati arabi ad accogliere fra i propri ranghi l’Iraq governato dagli sciiti. L’Iraq non diventerà un satellite dell’Iran. Certamente si sente più a proprio agio in un blocco sciita, ma probabilmente continuerà a starsene relativamente distante dagli affari regionali.
Si noti, poi, che in larga misura questa situazione lascia orfana l’Autorità Palestinese. In generale essa può dipendere dal sostegno arabo, iraniano e turco. Ma non ha più un padrino regionale, mentre è Hamas il gruppo che attualmente gode del caloroso appoggio degli islamisti sunniti. Il che naturalmente spinge nel senso di un’alleanza fra Autorità Palestinese (cioè Fatah) e Hamas, mentre indebolisce la forza contrattuale di Fatah rispetto al partner islamista (e questo si traduce in un persistente disinteresse a negoziare con Israele, e tanto meno a giungere a una soluzione negoziata con esso).
Sicché, nonostante le apparenze, il 2011 è stato un anno di smacco per Iran e Turchia perché gli islamisti arabi sunniti sono ora molto meno soggetti all’influenza di Tehran, considerata un rivale, e non gradiscono nemmeno la leadership turca.
Possono questi blocchi unirsi efficacemente fra loro contro Stati Uniti, occidente e Israele? Per dirla in una sola parola: no. Le loro lotte per il potere regionale e per il controllo di singoli stati (Bahrain, Libano, Siria e, in misura minore, Iraq) li terranno impegnati nei conflitti. Persino l’unanimismo anti-israeliano verrà sfruttato da ciascuno per i propri interessi.
Per lo stesso motivo, però, le speranze in un’evoluzione in senso moderato sono ridotte al minimo. In una regione dove regimi e movimenti fanno a gara nel dimostrare la loro combattività e la fedeltà ad una interpretazione estremista dell’islam, nessuno vorrà mostrarsi disposto a fare la pace con Israele. E i regimi collaboreranno con gli stati Uniti solo se saranno convinti che l’America può e vuole proteggerli: una speranza piuttosto vana con un’amministrazione Obama ansiosa di farsi amici fra gli islamisti.
C’è poi un altro aspetto da sottolineare in questa rivalità fra sunniti e sciiti, in questo formarsi di blocchi, nella loro competizione in fatto di combattività e nello scontro per il controllo di singoli stati. Ed è che la regione continuerà a mietere vite umane, dissipando sangue, tempo e risorse nella battaglia politica, giacché la lusinga dell’ideologia e del potere, anziché il pragmatismo e la produttività economica, continua a predominare anche dopo che sono caduti vecchi regimi.

(Da: Jerusalem Post, 1.1.12)

Comunicato dell’Associazione Arabi Democratici Liberali

Posted in Politica, Società with tags , , on ottobre 28, 2011 by Maria Rubini

L’Associazione Arabi Democratici Liberali è preoccupata per l’indifferenza della comunità internazionale nei confronti della causa della comunità crististiana Copta d’Egitto, che rischia di essere vittima di un genecidio silenzioso.

Lo scorso, 9 ottobre, nel quartiere Maspero del Cairo, i Copti sono stati nuovamente bersagli della violenza dell’esercito egiziano. Durante una manifestazione nonviolenta, i Copti sono stati attaccati dall’esercito, che ha ucciso 27 persone e ferito almeno 300.

Alcuni media hanno detto che si tratta di una persecuzione iniziata con l’arrivo della primavera araba. Ma ciò non è vero. In effetti, l’associazione afferma che una rivoluzione in Egitto non c’è mai stata.

I giovani di piazza Tahrir sono riusciti a fare cadere Hosni Mubarak, ma la dittatura è sempre lì. Il regime non è mai caduto. Se prima a perseguitare i copti era l’esercito del governo di Mubarak, ora a perseguitare i copti c’è l’esercito del generale Hussein Tantawi, parte della stessa identica dittatura.

L’esercito egiziano attrae molte simpatie in Occidente perché combatte i movimenti salafisti e i Fratelli musulmani, ma il regime e gli islamisti si trovano paradossalmente uniti nella persecuzione dei Copti. Per i Fratelli Musulmani, i copti rappresentano l’ostacolo per la costruzione di uno Stato islamico in Egitto, mentre per l’esercito i copti rappresentano un elemento di disturbo, in quanto da sempre richiedono un Egitto democratico, che possa dare uguali diritti. Non dimentichiamoci, infatti, che prima di Piazza Tahiri, furono i Copti a rompere il muro della paura, manifestando nei mesi di novembre e dicembre 2010 in varie città egiziane contro la dittatura.

L’Associazione ha partecipato a Washington, il 20 di Ottobre, alla manifestazione di fronte alla Casa Bianca, organizzata da organizzazione copte e da Magdi Khalil, scrittore eattivista copto, sostenitore di Arabi Democratici Liberali. Altre manifestazioni si sonos volte in Canada, Svizzera e Australia.

Senza precedenti: il governo egiziano sopprime la dottrina cristiana

Posted in Politica, Società with tags , , on ottobre 14, 2011 by Maria Rubini

Il fatto che il governo egiziano faciliti la persecuzione dei copti, la minoranza cristiana indigena del paese non era evidentemente abbastanza: ora il governo pretende di intervenire direttamente nelle questioni che riguardano la dottrina della Chiesa. Secondo la Assyrian International News Agency:

“Il capo della Chiesa Copta in Egitto ha rifiutato la decisione di un tribunale che ordinava alla chiesa di permettere ai copti divorziati di risposarsi con rito religioso. In una conferenza stampa tenuta martedì 8 giugno, Papa Shenouda [III], leggendo un messaggio emesso dal Santo Sinodo dei 91 Vescovi della Chiesa, ha affermato che “la Chiesa Copta rispetta la legge, ma non accetta decisioni che vadano contro la Bibbia e contro le libertà religiose garantite dalla Costituzione. La recente decisione del tribunale è inaccettabile alle nostre coscienze e non possiamo adeguarvici”. Ha poi aggiunto che il matrimonio è un sacramento di natura puramente religiosa e non un semplice “atto amministrativo”.”

Anche se in Occidente se ne è parlato pochissimo, la questione sta rapidamente raggiungendo il punto di rottura: alcuni stanno dicendo che, se non accetterà la decisione della Corte, il Papa sarà (un’altra volta) messo in prigione. Cosa si nasconde dietro un’interferenza così pesante nell’autonomia della Chiesa Copta?

Leggendo il giornale più venduto in Egitto, il governativo Al Ahram, uno potrebbe avere l’impressione che rendere più facile il divorzio e il risposarsi per i Copti sia un atto teso a “liberalizzare” la società – atto ostacolato solo da un Papa antiquato non “aperto alle riforme”. Un articolo cita un Copto che dice che “il fatto che il Papa limiti il divorzio e la possibilità di risposarsi solo ai casi di adulterio conclamati è una cosa ingiusta. Va contro alla natura dell’uomo”. Anche il direttore del Centro per l’Assistenza Legale alle Donne Egiziane afferma che la posizione della Chiesa “asseconda il desiderio di Papa Shenouda di imporre la sua volontà sulla comunità Cristiana” (una dichiarazione curiosa, visto che circa 10,000 Copti hanno partecipato ad una manifestazione pubblica di supporto per il Papa e che le Chiese Cattolica ed Ortodossa – che riuniscono circa un miliardo e mezzo di Cristiani – hanno delle posizioni molto simili quando si parla di divorzio).

In ogni caso, a meno che il lettore non pensi davvero che il governo egiziano stia davvero diventando più “liberale”, ci sono alcuni fatti importanti da ricordare:

Prima di tutto, come recita il Secondo Articolo della Costituzione Egiziana, la sharia — forse il codice di legge più draconiano ad essere sopravvissuto al Medioevo — è la “principale fonte di legislazione”. Questo vuol dire che un lungo elenco di misure contrarie ai più elementari diritti umani sono approvate, più o meno esplicitamente, dal governo egiziano, inclusa la poligamia, la limitazione alla costruzione di chiese, e la discriminazione istituzionalizzata nei confronti dei non-Musulmani e delle donne in generale. Per metterla in maniera diversa, la sharia può essere anche liberale – ma solo nei confronti dei maschi Musulmani, i quali (a proposito di matrimonio e divorzio) possono avere fino a quattro mogli e divorziare semplicemente dicendo “Io divorzio da te” per tre volte (anche via “SMS”).

Inoltre, il governo egiziano — ancora una volta in accordo con la sharia — impedisce ai Musulmani di convertirsi al Cristianesimo. L’avvocato Mohammad Hegazy, per esempio, ha provato a cambiare formalmente la sua religione da Musulmano a Cristiano sulla sua carta di identità — sì, in Egitto le persone sono catalogate, in puro stile Gestapo, secondo la loro religione — solo per vedere la sua richiesta negata dal tribunale egiziano. (Peraltro, episodi del genere sono tutt’altro che rari.) Insomma, mentre il governo egiziano si fa passare come un agente di “progresso sociale” che vuole riformare le posizioni “arcaiche” della Chiesa riguardo al divorzio e alla possibilità di risposarsi, esso stesso — non (l’università islamica di) Al Azhar, o qualche sceicco radicale, o la folla musulmana — impedisce (anche con la prigione o la tortura) ai Musulmani di convertirsi al Cristianesimo.

A quelli che accusano Papa Shenouda di comportarsi in maniera non molto diversa, ricordo una cosa: non sta applicando una legge totalitaria che tutti i fedeli Copti devono rispettare, sta solo dicendo che, secondo la Bibbia (ad esempio, Matteo 5:32), e a parte in alcune circostanze particolari (esempio l’adulterio), i Copti non possono risposarsi secondo il rito religioso: “Fate che chi vuole risposarsi lo faccia lontano da noi. Ci sono molti modi e molte Chiese che lo accetteranno. Chiunque voglia rimanere nella Chiesa, deve rispettare le sue leggi”.

Se questo continua a sembrarvi un filino “non pluralista”, sappiate che almeno i Copti hanno una via d’uscita: possono lasciare la Chiesa. Ai Musulmani non è permesso: la sharia – quella che in Egitto è considerata “fonte primaria di legislazione” — punisce con la morte quei Musulmani che vogliano abbandonare l’Islam.

L’ipocrisia palese della posizione del governo non è sfuggita agli Egiziani: “Il Papa ha evitato di rispondere ad una domanda posta da un reporter in una conferenza stampa che gli chiedeva se il tribunale avrebbe mai osato ordinare ad Al Azhar [la più alta autorità islamica in Egitto] di permettere ad un Musulmano di lasciargli sposare una quinta moglie, paragonandola all’interferenza del tribunale su questioni di dottrina basate sulla Bibbia”. Peccato, era davvero un’ottima domanda.

Per ultimo, la cosa più strana di questa situazione è il fatto che, nonostante tutte le sue pratiche inumane, la sharia permette ai dhimmi di governare le proprie comunità secondo le proprie credenze religiose, un fatto che lo stesso Papa non ha mancato di ricordare, quando ha detto che “la stessa Legge Islamica permette alle minoranze religiose di seguire le proprie regole e le proprie specifiche usanze”.

Per farla breve, il governo egiziano si sta comportando in maniera perfino più intollerante dei suoi predecessori medievali che, nonostante fossero apertamente ostili ai Cristiani e li tenessero in assoluta soggezione, almeno gli permettevano di governare i propri affari personali secondo la dottrina Cristiana.  Come ha detto Papa Shenouda al Santo Sinodo d’emergenza, “questa decisione deve essere riconsiderata, altrimenti vorrebbe dire che i Copti stanno soffrendo e che sono oppressi per la loro religione”.

Effettivamente, quando i Copti sono perseguitati e brutalizzati dai Musulmani, il governo è pronto ad alzare le mani e dichiarare che non può controllare le azioni di una “minoranza di estremisti”. Comunque, ora che è lo stesso governo egiziano ad impedire alla Chiesa di vivere secondo la dottrina Cristiana, sono forse necessarie altre prove che si stia impegnando attivamente per sovvertire la società copta e rendere ancora più facile la persecuzione della minoranza Cristiana?

Raymond Ibrahim
Originale (in inglese): Pajamas Media
Traduzione in italiano: Luca A. Bocci

Raymond Ibrahim è il direttore associato del Middle East Forum, autore del libro The Al Qaeda Reader, e un guest lecturer presso il National Defense Intelligence College.

E la compagnia “Egypt Air” fa sparire Israele dalle sue mappe

Posted in Palestina, Politica with tags , , , on marzo 24, 2011 by Maria Rubini

La notizia, visto il mercoledì tragico, è passata un po’ in secondo piano. Però contribuisce – nel suo piccolo – ad accentuare la tensione che accerchia Israele. Il fatto è che a voler fare le pulci all’incognita Egitto, si scoprono cose interessanti.

Come quella notata dai giornalisti del quotidiano ebraico online“Ynet”: “Egypt Air”, la più grande compagnia aerea egiziana, ha rimosso Israele dalla sua mappa. Non solo come rotta, ma anche come Paese. Per cui, anche se ci sono quattro voli alla settimana verso lo scalo internazionale di Tel Aviv e anche se la compagnia gemella, Air Sinai, fa altrettanto, chi volesse prenotare via Internet i biglietti con destinazione lo Stato ebraico farebbe molta fatica.

A vederla bene, nella “route map” della compagnia il Libano è grande il doppio è arriva praticamente fino a inglobare Haifa e Tel Aviv. E prima che la segnalazione diventasse pubblica nella cartina la Giordania finiva sul Mediterraneo. Con la capitale Amman che, secondo la personalissima idea di mappamondo, sembrava posizionata dove oggi si trova Gerusalemme.

Poi qualcuno, nel giro di poche ore, ha fatto una piccola modifica: ha spostato la città entro i confini giordani. Ma ha comunque lasciato intatti le nuove frontiere d’Israele: lo Stato ebraico è quasi la metà, ed è un tutt’uno con Gaza e la Cisgiordania.

Leonard Berberi

Mubarak è un dittatore! E chi l’avrebbe mai detto?

Posted in diciamocelochiaro, Politica, Società with tags , , on febbraio 3, 2011 by Maria Rubini

Gli eventi rivoluzionari in Tunisia ed Egitto sono piovuti sulla “comunità internazionale” come un fulmine a ciel sereno. I due impopolari regimi, sebbene tutt’altro che democratici, non erano noti per essere particolarmente repressivi. Al contrario, la Tunisia era conosciuta come un regime moderatamente filo-occidentale nel quale erano banditi per legge velo e poligamia. Analogamente l’Egitto era considerato una moderata autocrazia, e il presidente Hosni Mubarak un moderato filo-occidentale degno di fiducia e sostenitore della pace. Certo, c’era ogni tanto qualche rimostranza da parte delle ONG per i diritti mani, ma erano solo tenui pigolii in confronto all’incessante fuoco di fila di denunce contro Israele.
Sia la Tunisia che l’Egitto erano stati eletti membri di quel circo che va sotto il nome di Commissione Onu per i Diritti Umani. Nei suoi rapporti, insieme a blande critiche, la Commissione si complimentava con entrambi i regimi: la Tunisia veniva elogiata per essersi dotata di “un quadro giuridico e costituzionale volto alla protezione e promozione dei diritti umani”; l’Egitto veniva lodato per le iniziative “prese negli ultimi anni riguardo ai diritti umani, e in particolare la creazione di dipartimenti per i diritti umani all’interno dei ministeri della giustizia e degli affari esteri” (leggendo questi brani vien da pensare che le vere manifestazioni di protesta dovrebbero svolgersi a Ginevra, sede della Commissione Onu per i diritti umani).
Ed è appena il caso di osservare che nulla di ciò che avevamo letto o visto nel universo dei mass-media ci aveva preparati alle scene per le strade e alle terribili accuse che esplodono dai teleschermi: l’idea che Mubarak sia un dittatore è arrivata come uno shock per il pubblico occidentale.
La lezione che si deve trarre da tutto questo è che, in realtà, noi non sappiamo nulla di ciò che accade realmente nei regimi non democratici. Esattamente come negli anni Trenta i giornalisti occidentali che giravano per l’Ucraina non videro le morti in massa per fame coercitiva che avevano tutt’attorno, così i mass-media contemporanei non capiscono nulla di ciò che cova veramente sotto la superficie di una non-democrazia apparentemente mite.
Il mondo dell’informazione e i rapporti delle ONG sono strabici. Hanno la tendenza a trovare difetti e colpe nelle società aperte, e a farsi circuire dai regimi repressivi dove non esistono mezzi di informazione liberi né tribunali indipendenti. È così che nasce il paradosso: più un paese è aperto e democratico, più è esposto ad accuse di violazioni dei diritti umani.
Lo stesso vale anche per l’Egitto e la Tunisia. I loro regimi non erano più repressivi di altri regimi mediorientali: certamente le loro violazioni dei diritti umani erano relativamente lievi in confronto alla brutalità di regimi come quelli in Iran e in Siria. Ma proprio perché Egitto e Tunisia erano soggetti a una certa influenza e pressione occidentale, non potevano ricorrere alla ferocia senza ritegno con cui il regime di Teheran ha schiacciato, nel 2009, i suoi oppositori pro-democrazia.
In effetti, la verità è ancora più indigesta. Non esiste nessun valido sostituto alla democrazia, anche se imperfetta. Ma in Medio Oriente le libere elezioni – un elemento essenziale del sistema democratico – rischiano di portare a un regime islamista di tipo iraniano destinato fatalmente a soffocare ogni barlume di autentica democrazia. Bisognerà aspettare ancora a lungo prima di assistere a un’inversione di tendenza.

Amnon Rubinstein

Mi preoccupano coloro che non si preoccupano

Posted in Politica, Società with tags , on gennaio 31, 2011 by Maria Rubini

– Come giudica le proteste in Egitto?
Rubin: Si è tentati di vedervi una rivoluzione che abbatterà il regime. Ma l’Egitto non è la Tunisia. Le manifestazioni sono certamente piene di impeto, non né chiaro se il numero di coloro che vi partecipano sia davvero così enorme. Se la élite e l’esercito resteranno uniti, potrebbero comunque prevalere, eventualmente rimuovendo Mubarak pur di salvare il regime. Bisogna essere cauti nel tirare conclusioni.

– Vede la minaccia di una presa del potere da parte degli islamisti della Ikhwan (la Fratellanza Musulmana)?
Rubin: Finora la rivolta non è stata guidata dalla Fratellanza Musulmana. Ma essa è l’unico grande gruppo di opposizione organizzato. È difficile immaginare come possa non diventare, prima o poi, la forza leader. La dirigenza dovrà infine stabilire che si trova di fronte a una situazione rivoluzionaria e che questo è il momento giusto per uno tentativo a tutto campo. Ma se lo fa e fallisce, vi sarà una terribile repressione e il gruppo ne uscirebbe schiacciato. A quanto pare la Fratellanza Musulmana si stia unendo alle proteste, ma non ha ancora preso la decisione di fondo. A lungo termine, se il regime verrà completamente rovesciato, credo che la Fratellanza Musulmana emergerà come forza leader e forse come la forza al comando del paese.

– Vede la possibilità che l’Egitto sia testimone dello stesso modello dell’Iran del 1979: proteste democratiche sfociate in un potere islamista?
Rubin: La possibilità c’è senz’altro. Innanzitutto, finora i manifestanti mancano di un leader carismatico. Inoltre, le leadership alternative non-islamiste sono probabilmente più deboli di quanto fossero in Iran. Si ricordi che la rivoluzione iraniana andò avanti per quasi un anno, e gli islamisti emersero come capi solo dopo i primi cinque o sei mesi. Molti esperti prevedevano che si sarebbero affermati come governanti i democratici moderati, e dicevano che un regime islamista era impossibile. Ma le cose sono andate diversamente. Circa i rischi che corre l’Egitto, spero davvero di sbagliarmi.

– Come può essere cambiato e riformato lo status quo arabo senza lasciare che i fanatici islamisti prendano il potere? È possibile vedervi l’affermazione di democrazia e liberalismo?
Rubin: Ci vorrebbero, fra le altre cose, leader più forti, organizzazioni solide, la capacità di controllare le opposizioni, un programma chiaro e unità delle forze riformatrici. Nulla di tutto questo è presente sul fronte democratico-moderato. Di nuovo, vorrei che le cose stessero in modo diverso. Qui più che in altri paesi i riformatori, anche se non tutti, hanno creduto di poter collaborare con gli islamisti e di poterli manovrare. Il che sembra un grosso errore. Le chance della democrazia e del liberalismo sono diverse da paese a paese. La Tunisia ha buone possibilità, perché ha una forte classe media e un movimento islamista debole. Ma in Egitto, basta guardare i dati dell’ultimo sondaggio del Pew Research Center. Al 30% degli egiziani piace Hezbollah (al 66%, no); il 49% ha un’opinione positiva di Hamas (il 48% ce l’ha negativa); e il 20% vede con favore al-Qaeda (contro il 72% che la guarda male). In parole povere, un egiziano su cinque plaude al gruppo terrorista islamista più estremista del mondo, mentre circa un egiziano su tre sostiene forze eversive islamiste in paesi esteri. Questo non ci dice in che proporzione gli egiziani desiderino un governo islamista in casa loro, ma è un indicatore. In Egitto, l’82% degli intervistati vorrebbe la lapidazione contro chi commette adulterio, il 77% sarebbe favorevole a fustigazione e taglio delle mani per i colpevoli di furto e l’84% alla pena di morte contro un musulmano che si converta ad altra religione. Alla domanda se sostenga i “modernizzatori” o gli “islamisti”, solo il 27% degli egiziani risponde “i modernizzatori”, contro il 59% che sostiene gli islamisti. Non vuol dire nulla? Lo scorso dicembre scrissi che “questi dati agghiaccianti in Egitto un giorno potrebbero essere citati per spiegare una rivoluzione islamista. Ciò che mostra questa analisi – scrivevo – è che in Egitto e in Giordania è del tutto possibile una futura rivoluzione islamista”.

– Che genere di minaccia pone la rete della Fratellanza Musulmana a Israele e alle democrazie occidentali?
Rubin: Se va al potere? Una minaccia enorme: nuovi atti di guerra, antiamericanismo travolgente, sforzi per propagare la rivoluzione in altri stati moderati, possibile (anche se non automatico) allineamento con Iran e Siria, danni incalcolabili agli interessi occidentali. Insomma, un vero disastro. Ciò che più mi colpisce è che come mass-media ed esperti occidentali sembrino così trascinati da questo movimento da considerarne solo il migliore sbocco possibile. Come ho detto, preferirei che le cose stessero in modo diverso, ma sono profondamente preoccupato. E una delle cose di cui sono preoccupato è che così tanti non sembrano preoccupati. Ora, di fondo vi sono due sbocchi possibili: il regime si ristabilizza (con o senza Mubarak), oppure il potere passa di mano. A chi? Diamo un’occhiata ai precedenti nella regione. Si ricorda la rivoluzione iraniana, che vide ogni genere di persone riversarsi in strada per chiedere libertà? Oggi il presidente iraniano è Mahmoud Ahmadinejad. E la primavera di Beirut, con la gente in piazza a chiedere libertà? Oggi è Hezbollah che governa il Libano. E la democrazia e le libere elezioni fra i palestinesi? Oggi la striscia di Gaza è sotto il controllo di Hamas (e la Cisgiordania è a rischio). E la democrazia in Algeria? Furono decine di migliaia le persone uccise nella spaventosa guerra civile che ne seguì per anni. Non deve necessariamente andare in questo modo, ma certo i precedenti sono piuttosto scoraggianti.

(Da: Global Research in International Affairs, 29.1.11)

Intervista a Barry Rubin